martedì, settembre 11, 2007

Sei anni dopo


Sei anni fa ero appena rientrato dalle ferie a Pantelleria. Il Lunedì 10 ero rimasto a casa per fare "decompressione" prima di tornare in ufficio. Poi, il giorno dopo, un martedì, ritorno in ufficio. Leggo le e-mail, mi occupo di una piccola cosa rimasta sospesa e vado a pranzo. Poco più tardi, un collega mi fa: "Vai a vedere il sito di Repubblica. Sta andando a fuoco un grattacielo a New York". Pochi minuti dopo, la rete inizia a rallentare, fino a bloccarsi del tutto. Tutti i siti di news sono al collasso. Arrivano poche notizie, ma si percepisce che sta accadendo qualcosa di colossale, di pazzesco, di inconcepibile. Le Twin Towers sono state colpite da due aerei dirottati e il Pentagono è in fiamme. Sono ore concitate e nessuno lavora più.
Non ricordo chi scrisse che tutti avremmo ricordato che cosa stavamo facendo quel giorno quando arrivò la notizia. Ma era una sacrosanta verità. L'11 Settembre 2001 è stato uno di quei giorni che rimangono scolpiti nella memoria.
Sei anni dopo, quella ferita non solo non si è rimarginata ma è stata portatrice di nuove brutture, di nuove sofferenze.
Mentana, giorni fa, dibatteva nel suo Matrix le due teorie, quella della verità ufficiale e quella del complotto governativo. Personalmente ho sempre nutrito molti dubbi sulla versione istituzionale sugli attentati che hanno distrutto il WTC e sconvolto le presunzioni di invulnerabilità degli americani. Ma non mi sento nemmeno di sottoscrivere tutte le teorie da thriller che si sono sprecate in questi anni. Credo che tutta la verità su quello che accadde in quelle ore non la sapremo mai e che, forse, la leggeranno i nostri pronipoti sui libri di storia. Ma di una cosa sono sicuro: l'immagine di quei due grattacieli che bruciano in un banale martedì di fine estate resteranno, per chi le ha viste in diretta in tutto il globo, il simbolo dirompente di un secolo partito col piede sbagliato.

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